L’alta finanza subisce duri colpi con la crisi delle banche, ma la domanda sorge spontanea: cosa rischiano i correntisti italiani? La situazione è ambigua, ma alcune considerazioni possono essere fatte senza allarmare i risparmiatori.
Cominciamo con una notizia che, in realtà, è molto positiva. Lo scorso anno, infatti, in Italia le banche hanno accresciuto i loro utili in maniera decisiva, segnando a tutti gli effetti alcuni record importanti. A trainare questo boom è stato il rialzo dei tassi, unito all’attenta analisi che ha portato all’eliminazione dei bad credit. Negli ultimi giorni, però, tutto sembra destinato a crollare. I toni allarmistici si diffondono, così la domanda diventa una sola: i rischi per i correntisti italiani sono reali?
Tutto è cominciato con il crollo della Silicon Valley Bank lo scorso 10 marzo. L’effetto domino si è abbattuto sul continente europeo, segnando alcune perdite sensibili. Lo Stoxx è andato giù di 7,11 punti percentuali. Uno dei più importanti istituti bancari europei, il Credit Suisse, ha dato una botta non indifferente annunciando un tracollo oramai imminente. La Banca nazionale svizzera, però, si è mossa subito andando a versare la necessaria liquidità all’interno dell’istituto che da sempre naviga in cattive acque. Le conseguenze sulle banche italiane, però, sembrano non esserci, soprattutto considerando la contemporaneità dei due eventi che, in ogni caso, rimangono casi slegati.
Tira una brutta aria a livello internazionale, ma i conti correnti italiani possono stare tranquilli
In realtà, le previsioni per le banche italiane durante l’anno in corso preannunciano una crescita continua, coadiuvata dai bassi costi della raccolta fondi e dal rialzo della redditività. Certo, il mercato reagisce agli stimoli in maniera emozionale, facendo segnare all’indice Ftse Italia banche una perdita di 17 punti percentuali. Complice di tutto ciò anche la logica dei Btp, che sono legati a doppio filo all’economia che viene messa in atto dalla Banca centrale europea.
La questione italiana, tra l’altro, sembra anche maggiormente coperta. Le norme europee prevedono che in uno scenario critico gli istituti abbiano liquidità per almeno 30 giorni. In Italia, il periodo di disponibilità dei principali istituti bancari varia tra i 45 e i 60 giorni. La situazione nostrana, poi, è specifica, poiché gli italiani hanno conservato molta liquidità all’interno dei conti correnti. Questo denaro rende le banche più solide e allontana i rischi di ricadute sugli stessi correntisti, anche nel caso di un’irrazionale corsa allo sportello bancomat, che comunque non avrebbe alcun senso pratico.