Fotografata in bagno dal suo elettrodomestico, forse ci spiano più di quello che immaginiamo?
In teoria da un robot aspirapolvere ci si aspetta che ci aiuti a tenere la casa pulita, ci faccia risparmiare tempo e fatica. Non che pubblichi foto (per di più intime) sui social.
Ha del clamoroso la storia che ha visto coinvolti decine e decini di malcapitate persone, fra cui donne e bambini e la Roomba J7 di iRobot, quell’aspirapolvere Robot da 0,4 litri, con sensori ostacoli, sistema anti-ingarbugliamento, antiurto Soft touch, e compagnia cantante. Basti sapere che la può comprare chiunque, su Amazon o altre e-commerce. Da Euronics e simili.
Fin qui è tutto chiaro, ma come è possibile Roomba J7 di iRobot abbia potuto fotografare una donna in bagno o altre tipici atteggiamenti (intimi) che ognuno compie tanto liberamente quanto privatamente a casa sua?
Ci ha pensato l’autorevole Mit Technology Review ad aprire una sorta di vaso di pandora: la sua inchiesta ha fatto il giro del mondo in pochi giorni, finendo in Italia, tramite anche il Corriere della Sera.
L’agghiacciante scoperta risale all’era post lockdown da Coronavirus. Nell’autunno del 2020, in Venezuela, i lavoratori dei concerti hanno pubblicato una serie di immagini sui forum online, dove si sono riuniti per parlare di lavoro. Le foto erano scene domestiche banali, anche se a volte intime, catturate da angolazioni basse, comprese alcune che non vorresti davvero condividere su Internet. In uno scatto particolarmente rivelatore, una giovane donna con una maglietta color lavanda è seduta sul water, con i pantaloncini abbassati fino a metà coscia.
Serve una logica di “privacy by design”
Il problema è che le immagini non sono state scattate da una persona, ma dalle versioni di sviluppo del robot aspirapolvere della serie Roomba J7, non in commercio sostiene iRobot, non un fornitore qualsiasi, tanto per intenderci, ma il leader in questo segmento di mercato, comprato perfino da Amazon per una cifra vicina ai 2 miliardi di dollari, tanto per intenderci.
Qui entra in gioco il MIT Technology Review, che ha ottenuto 15 screen di queste foto private, che erano state pubblicate su gruppi chiusi di social media. Quindici immagini di vita quotidiana, in una casa, in una stanza, in un bagno o in una cucina, abitate da persone ma anche animali, un cane nello specifico.
iRobot si è difeso, a modo suo, dichiarando che tutte quelle immagini erano di chi aveva accettato che il proprio Roomba li monitorasse, senza consentire però a MIT Technology Review di visualizzare gli accordi di consenso.
Emblematico il commento Guido Scorza, componente del Garante per la protezione dei dati personali, sulle colonne del Corsera. “Le informative in questo caso specifico c’erano, ma con molto rumore di fondo – dice – c’è poi un punto critico: le norme sulla privacy si rivolgono a chi fa il trattamento del dato. Serve un’informativa sulla privacy chiara, e una logica di privacy by design”.